21 aprile 753 a.c. La fondazione di Roma

Tito Livio

Ab urbe condita

Liber primus (6-7)

(…) Ita Numitori Albana re permissa Romulum Remumque cupido cepit in iis locis ubi eiti ubique educati erant urbis condendae. Et supererat multitudo Albanorum Latinorumque; ad id pastores quoue accesserant, qui omnes facile spem facerent paruam Albam, parvum Lavinium prae ea urbe quae conderetur fore. Intervenit deinde his cogitationibus avitum malum, regni cupido, atque inde foedum certamen coortum a satis miti principio. Quoniam gemini essent nec aetatis verecundia discrimen facere posset, ut di quorum tutelae ea loca essent auguriis legerent qui nomen novae urbi daret, qui conditam imperio regeret, Palatium Romulus, Remus Aventinum ad inaugurandum templa capiunt.

[7] Priori Remo augurium venisse fertur, sex voltures; iamque nuntiato augurio cum duplex numerus Romulo se ostendisset, utrumque regem sua multitudo consalutauerat: tempore illi praecepto, at hi numero auium regnum trahebant. Inde cum altercatione congressi certamine irarum ad caedem vertuntur; ibi in turba ictus Remus cecidit. Volgatior fama est ludibrio fratris Remum novos transiluisse muros; inde ab irato Romulo, cum verbis quoque increpitans adiecisset, “Sic deinde, quicumque alius transiliet moenia mea,” interfectum. Ita solus potitus imperio Romulus; condita urbs conditoris nomine appellata. Palatium primum, in quo ipse erat educatus, muniit. Sacra dis aliis Albano ritu, Graeco Herculi, ut ab Evandro instituta erant, facit. Herculem in ea loca Geryone interempto boves (…)

 

(…) Così, affidata Alba a Numitore, Romolo e Remo furono presi dal desiderio di fondare una città in quei luoghi in cui erano stati esposti e allevati. Inoltre la popolazione di Albani e Latini era in eccesso. A questo si erano anche aggiunti i pastori. Tutti insieme certamente nutrivano la speranza che Alba Longa e Lavinio sarebbero state piccole nei confronti della città che stava per essere fondata. Su questi progetti si innestò poi un tarlo ereditato dagli avi, cioè la sete di potere, e di lì nacque una contesa fatale dopo un inizio abbastanza tranquillo. Siccome erano gemelli e il rispetto per la primogenitura non poteva funzionare come criterio elettivo, toccava agli dèi che proteggevano quei luoghi indicare, attraverso gli auspici, chi avessero scelto per dare il nome alla nuova città e chi vi dovesse regnare dopo la fondazione. Così, per interpretare i segni augurali, Romolo scelse il Palatino e Remo l’Aventino.

(7) Il primo presagio, sei avvoltoi, si dice toccò a Remo. Dal momento che a Romolo ne erano apparsi il doppio quando ormai il presagio era stato annunciato, i rispettivi gruppi avevano proclamato re l’uno e l’altro contemporaneamente. Gli uni sostenevano di aver diritto al potere in base alla priorità nel tempo, gli altri in base al numero degli uccelli visti. Ne nacque una discussione e dal rabbioso scontro a parole si passò al sangue: Remo, colpito nella mischia, cadde a terra. È più nota la versione secondo la quale Remo, per prendere in giro il fratello, avrebbe scavalcato le mura appena erette e quindi Romolo, al colmo dell’ira, l’avrebbe ammazzato aggiungendo queste parole di sfida: «Così, d’ora in poi, possa morire chiunque osi scavalcare le mie mura.» In questo modo Romolo si impossessò da solo del potere e la città appena fondata prese il nome del suo fondatore.

In primo luogo fortifica il Palatino, sul quale lui stesso era stato allevato. Offre sacrifici in onore degli altri dèi secondo il rito albano, e secondo quello greco in onore di Ercole, così com’erano stati istituiti da Evandro. Stando alla leggenda, proprio in questi luoghi Ercole uccise Gerione e gli portò via gli splendidi buoi.(…)

Modugno X-III – MDCCXCIX V/S X – III – MMXX

Calmi, state calmi, non è la formula del vaccino antiviruscorona e nemmeno il vecchio sogno dei risultati della schedina vincente del totocalcio; è l’innocuo passatempo di un nullafacente costretto sul divano di casa da un altro tipico prodotto cinese. Oggi si commemora il CCXXI anniversario dell’assedio di Modugno ad opera di una sessantina di armati, guidati da un gioiese, Francesco “Ciccio” Soria. La storia di quegli avvenimenti è stata più volte raccontata in maniera tanto esauriente per cui è possibile evitare un ulteriore replica.

Quello che si può fare invece è trovare delle similitudini fra gli avvenimenti attuali e quelli dell’epoca.

Nel 1799 Modugno, aveva aderito alla Repubblica Napolitana, (con la i) e in quei giorni difendeva la sua “giacobinità” dagli assalti dei “Sanfedisti” del Cardinale calabrese Fabrizio Ruffo. Antenato di quel Rosario M. Ruffo, commissario prefettizio che ha guidato l’amministrazione comunale dopo i tragici avvenimenti del 2012? Non si sa, non è dato sapere, ma è una coincidenza interessante anche se contrastante: il Cardinale si opponeva ai giacobini, il Commissario è andato via e sono arrivati i similgiacobini.

A Modugno – in quell’anno di fine secolo che vide la fine dell’Ancien Régime con i sanguinosi distacchi dagli augusti colli di varie teste coronate – i difensori civici videro apparire in loro soccorso una donna di nero vestita (la Madonna, venerata dagli assedianti sanfedisti, presumibilmente, le aveva demandato il ruolo di difensore della città) che, come raccontano le cronache del tempo, deviò i pericolosi proiettili sparati verso di loro. Oggi X-III-MMXX, a Modugno, con l’obbligo ai domiciliari, i modugnesi in questa ultracentenaria ricorrenza non possono fare altro che affidarsi davvero all’opera protettrice della Madre di tutti i credenti per tornare a superare la soglia di casa senza incorrere in pene capitali. Ancora di più ci si affida ai poteri celesti per non incorrere nella manzoniana accusa di “untori” del micidiale virus cinoitaliano.

Non ci resta che piangere, come diceva …. (non mi ricordo chi) e sperare in ogni caso che in questo anno bisestile, fra le tante disgrazie che si prospettano per i prossimi mesi, ci sia una lieta scadenza, quella definitiva dei governi similgiacobini che amministrano la nazione, la regione e il comune.

Eh Madonna meh, a te si affida Modugno anche oggi.

Paolo De Benedictis

10 febbraio, giorno della memoria


Domani, domenica 10 febbraio – alle ore 9,00 – nel cimitero di Modugno, ci sarà la commemorazione del nostro concittadino Paolo De Benedictis, trucidato – da una banda di ladri travestiti da “resistenti” – a Valdobbiadene nel maggio del 1945; la guerra era finita già da molti giorni.
Alla celebrazione, in memoria del sottotenente della RSI, è prevista la presenza di rappresentanti dell’amministrazione cittadina.
Per ricordare il martirio di Paolo De Benedictis, si dimostra ancora indispensabile leggere “PAOLO DE BENEDICTIS – un martire dimenticato” di Pino Tosca.