Il fondatore del PdL? Berlusconi? Fini? No

Giuseppe Tatarella

“Dobbiamo costruire quel partito che rappresenta quel 65% di italiani moderati che, in ogni elezione elettorale, non votano a sinistra”: sono parole dell’onorevole Giuseppe Tatarella, apparse in una lunga intervista rilasciata a ”Il Giornale” e pubblicata, ironia del destino, proprio nel giorno della sua improvvisa morte, l’8 febbraio del 1999.

Nato a Cerignola, la città natale del fondatore della Cgil Giuseppe Di Vittorio, Tatarella ha dedicato tutta la propria vita alla politica ed alla cultura: un connubio ritenuto da lui indissolubile nella ricerca di sdoganare la destra dai luoghi comuni che la relegavano al margine della politica italiana. Iscritto al Msi “non per il fascismo, ma perché era il partito più anticomunista, quindi per eccesso di democraticità”, ha percorso tutte le tappe della militanza partitica: attacchino dei manifesti elettorali, consigliere comunale in centinaia di comuni – grandi e piccoli – della Puglia, consigliere regionale, deputato, fino ad arrivare alla vice presidenza del consiglio dei ministri nel primo governo di centrodestra della storia repubblicana nel 1994. Proprio in quella breve esperienza Tatarella, per cui si guadagnò la qualifica di ministro dell’armonia per la capacita di trovare la soluzione anche nei momenti più difficili, diventa il primo uomo della destra italiana, dal dopo guerra in poi, a presiedere il consiglio dei ministri, quando sostituisce il premier Berlusconi, impegnato in un vertice internazionale all’estero.

Studioso di Giuseppe Prezzolini, autore di numerosissimi saggi tra cui l’attualissimo “Manifesto dei conservatori”, dell’umanista Gian Battista Vico e del filoso cattolico Augusto del Noce, Tatarella ha abbinato l’impegno politico con quello editoriale fondando e dirigendo diverse riviste e giornali: aveva rilevato in ultimo, a metà degli anni novanta, il quotidiano “Roma”, nato dall’idea di Garibaldi e Mazzini in vista dell’ultima sfida risorgimentale per “Roma, capitale d’Italia”, su cui hanno scritto personaggi del calibro di Pirandello e Leo Longanesi, due mostri sacri della letteratura italiana, anticonformisti, schierati non certo a sinistra, e per questo dimenticati dall’attuale mondo accademico e della cultura italiano.

Intuisce prima di tutti che il saluto romano contribuiva solo ad isolare ancor più il suo partito, relegandolo a testimonianza storica invece che a fonte di proposta politica. Per questo in ogni incarico ricoperto interpreta il ruolo dall’opposizione “come una forza che si accinge, si appresta a diventare maggioranza e forza di governo”. E’ in grado di costringere alle dimissioni agli inizi degli anni ’60, da semplice consigliere comunale, la prima giunta di centro-sinistra del Comune di Bari guidata dal sindaco Lozupone, amico di Aldo Moro. Attraverso il giornale da lui diretto “Puglia d’oggi” solleva il coperchio della moralità pubblica portando a conoscenza le speculazioni edilizie del Municipio pugliese, dove dirigenti ed amministratori locali, in primis il sindaco ed il suo vice Rino Formica, potentissimo ministro socialista durante gli anni ’80, rilasciavano licenze a se stessi o alle proprie consorti, avallando progetti irregolari in violazione del piano regolatore cittadino. E’ stata questa la prima volta in Italia che il centro-sinistra andò in crisi. Nel 1970, istituite le Regioni, Tatarella viene eletto consigliere regionale e designato dal partito ad occuparsi della stesura dello statuto dell’ente. Anche in questa occasione riesce a far approvare un suo emendamento che, in nome della trasparenza permette ad i consiglieri di accedere a tutti gli atti amministrativi emanati dall’ente; qualcosa di completamente sconosciuto per i tempi di allora! Approdato alla Camera dei deputati, è destinato alla commissione per gli affari costituzionali. A quell’epoca era impensabile parlare di riforme istituzionali. Non per Tatarella che, per consolidare l’idea, fonda la rivista “Repubblica presidenziale”, che diventa il mezzo di propaganda per l’Msi per parlare del rinnovamento della Costituzione, per la “Nuova Repubblica”, in cui si considera il cittadino “il principe di ogni riforma istituzionale”, coinvolgendo nel dibattito costituzionalisti estranei alla destra italiana.

Porta Fini alla segreteria del partito in vista del ricambio generazionale. Si schiera apertamente per i referendum del ’93, perché convinto che con il maggioritario “non ci saranno più partiti fuori dall’arco costituzionale”: per un soffio Fini e la Mussolini non arrivano a diventare sindaco, rispettivamente, di Roma e Napoli. Mentre tangentopoli spazza via la classe dirigente che dal dopoguerra ad allora aveva governato l’Italia, Tatarella si inventa assieme a Marcello Veneziani ed al professor Domenico Fisichella Alleanza Nazionale, portando con sé personaggi fin allora democristiani come Gustavo Selva, il giornalista autore di “Radio belva”, un programma in onda durante gli anni ’70 in cui prendeva a sberle il comunismo e Pietro Armani, vice presidente dell’Iri. Stretto l’accordo con Silvio Berlusconi fondatore di Forza Italia, la novità politica all’inizio del ’94, e con Bossi, segretario della Lega Nord, in vista delle elezioni del 28 marzo per tentare di stoppare “la gioiosa macchina da guerra” del segretario del Pds Achille Occhetto. Missione compiuta, per la prima volta una coalizione di centrodestra è al governo in Italia. Purtroppo per poco, circa sei mesi, travolta dalle accuse poi risultate non fondate della magistratura nei confronti del Cavaliere e del comportamento “improprio” del Presidente della Repubblica Scalfaro. Nonostante la caduta del governo, Tatarella è convinto che “la maggioranza silenziosa degli italiani” non si senta rappresentata dal governo Prodi, appoggiato anche da Rifondazione comunista. Per portare questi italiani “che non sono di centrosinistra, ma non ancora di centrodestra” da vita il mensile “Centrodestra” e l’associazione “Oltre il Polo”, in cui si parla di tutto: cultura liberale, federalismo fiscale, si analizza il pensiero di Sturzo, si organizzano convegni con esponenti delle piccole imprese del nord Italia. Per evitare il ritorno dei vecchi giochetti della politica della prima Repubblica, scrive il disegno di legge per l’elezione dei consigli regionali, il tatarellum: un sistema misto in cui è garantito il bipolarismo ed identità del partito con una soglia di sbarramento. Una disciplina che ha garantito negli ultimi quindici anni governi regionali stabili, molto apprezzata ed oggetto di studio dai costituzionalisti. Assiste invano al fallimento della Commissione bicamerale per la riforma della costituzione, presieduta da D’Alema, in cui Tatarella è il vice presidente.

Poi l’improvvisa morte all’alba dell’8 febbraio del ’99. “La Repubblica” intitola, il giorno seguente alla sua scomparsa: “L’armonia resta senza il suo ministro”.

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