Omicidio Lacalamita: respinta la revisione del processo

Giuseppe Lacalamita

Sono passati undici anni da quel maledetto 23 settembre 2002, allorché il giovane modugnese Giuseppe Lacalamita fu assassinato
da una banda di malviventi che tentarono di rapinarlo mentre era in compagnia della sua ragazza. Era la notte dei Santi Patroni di Modugno e Giuseppe si trovava in campagna per ammirare i fuochi pirotecnici all’interno della sua vettura. Approfittando del buio della notte e della zona disabitata, tre delinquenti, nascosti tra i cespugli, mandarono in frantumi il finestrino dell’auto dove si trovavano i due: fu l’inizio di una aggressione senza scampo. A quel  punto Giuseppe, temendo per la fidanzata, le fece scudo con il corpo. Per Giuseppe la morte giunse con un colpo di pistola che gli recise l’aorta. La cronaca racconta, tuttavia, che le indagini condotte dai carabinieri si orientarono sin da subito su tre individui: due fratelli e un loro amico. La Corte di assise di Bari condannò Indrid Tusha e Florenc Seferi rispettivamente a 12 e 23 anni di carcere mentre Arian Tusha fu condannato a 12 anni dopo che si rese latitante in Albania. Successivamente la Corte di Assise d’appello, con una sentenza del 30 maggio 2006, divenuta poi irrevocabile il 13 marzo 2007, assolse Tusha Indrid e Seferi Florenc per non aver commesso il fatto. Arian Tusha, invece, rimasto contumace, non propose appello e quindi la sentenza divenne definitiva. Nel frattempo nel 2007 fu emesso un ordine di cattura internazionale per Arian. La corte albanese si trovò a decidere sul riconoscimento della sentenza italiana e in quella sede applicò una pena superiore infliggendogli 15 anni di carcere. Il resto è storia d’oggi. A luglio dello scorso anno Arian Tusha ha proposto istanza di revisione del processo alla Corte di Appello di Lecce. Questa istanza era fondata sulla inconciliabilità di giudicati. In pratica secondo Arian Tusha c’era una incompatibilità di provvedimenti passati in giudicato. La Corte di Appello di Lecce dopo cinque ore di camera di consiglio lo scorso venerdì 5 luglio ha rigettato la sua richiesta. Almeno per il momento, dunque, Arian Tusha è l’unico elemento a cui la famiglia Lacalamita si appoggia per individuare il responsabile di quell’efferato delitto. Analizzando l’intera vicenda si può certamente constatare come ci sia  stata un’incredibile serie di lacune investigative a causa delle quali c’è stata l’assoluzione di due dei tre imputati. Per esempio non fu mai fatta la prova dello stub sugli indumenti degli indiziati. Ad oggi la famiglia Lacalamita non ha mai metabolizzato la sentenza della Corte di Assise d’appello di Bari perché da quella sentenza sembra emergere tutta una serie di lacune investigative che inevitabilmente devono ricadere sul pubblico ministero che condusse le indagini e a cui l’intera famiglia si era appellata. Per Danilo Sciannimanico, del movimento politico “Fratelli d’Italia”, da sempre attivo durante questi anni su questa triste pagina modugnese, ha dichiarato: “ci congratuliamo con il procuratore generale della Corte d’Appello di Lecce, il dott. Giuseppe Vignola, per la decisione assunta. Una decisione che ristabilisce la verità e ribadisce con forza la certezza della pena, troppo spessa messa in dubbio da verità processuali distorte – come avvenuto negli 11 anni della vicenda Lacalamita – e da scelte legislative scellerate, quale l’indulto “mascherato” di recente approvazione in Parlamento grazie ai voti di Pd  e Pdl”.

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