Crisi del settore dell’informazione

diritto ad essere informati e ad informare a rischio.

Nell’era in cui regna incontrastato il social media, va recuperato il ruolo della testata editoriale di fiducia, nazionale o locale che sia.
Si è tenuto presso l’hotel Sheraton di Bari il convegno sugli stati generali dell’informazione organizzato da Slc Cgil, Fistel Cisl e Uilcom Uil con lo scopo di affrontare i temi della crisi del settore dell’informazione a partire dalla situazione occupazionale; a rappresentare l’imprenditoria del settore, erano presenti alcuni dei più autorevoli capi d’azienda, tra cui il Direttore Generale di Telenorba, Giuseppe Spada. All’invito degli organizzatori ha aderito anche il sindaco di Bari, Michele Emiliano, che ha voluto dare il suo contributo alla discussione proponendo idee e possibili soluzioni.
Dai vari interventi è emerso che, in generale, discutere attorno alla crisi del settore dell’informazione equivale a parlare di una crisi del sistema democratico all’interno di un paese. Informazione è: diritto alla conoscenza, diritto al sapere, diritto ad essere informati ma soprattutto diritto al pluralismo.  
A tutti i livelli e per tutti i mezzi di informazione, i dati statistici forniti nella relazione di apertura del segretario generale della Slc Cisl, Maria Luigia Bucci, sono impietosi.

Dai bilanci 2011 di 351 società che amministrano emittenti televisive locali operanti in Italia l’ammontare delle perdite d’esercizio del settore è giunto a 75,8 milioni di euro. Su 351 società, 226 hanno chiuso il bilancio in perdita, appunto per un totale di € 75,8 mln, mentre 125 hanno chiuso in utile per € 4,6 mln. Il saldo tra utile e perdite presenta, pertanto, un valore negativo pari a € -71,2 mln (€ -21.3 mln nel 2010).
Il settore è in recessione fin dal 2008 (-19 mln nel 2008, -43 mln nel 2009, -21 mln nel 2010 e, appunto, -71 mln nel 2011), anno coincidente con l’inizio della crisi mondiale e con l’avvio del digitale terrestre in Italia.

Negli anni precedenti il saldo tra utili e perdite è stato sempre positivo o quantomeno in pareggio. A conti fatti il saldo negativo tra utili e perdite negli ultimi quattro anni ammonta a circa 155 mln di euro.
Nel 2011 i ricavi totali (pubblicità + contributi pubblici e altri ricavi) sono stati pari a € 514 mln, in calo del 10% rispetto al 2010 e del 17% rispetto al 2008. I ricavi pubblicitari ammontano a € 391 mln (€ 425 mln nel 2010) in calo di oltre € 96 mln rispetto al 2008. Anche le altre fonti di entrate (contributi pubblici e ricavi diversi) presentano un calo di circa il 17% sull’anno precedente.

Sul banco degli imputati il passaggio delle regioni dal segnale analogico al digitale terrestre avvenuto nell’arco di quattro anni, iniziato con la Sardegna nel 2008  e terminato con la Sicilia nel 2012. Nato con l’idea di permettere una migliore qualità di segnale, di dare la possibilità di moltiplicare l’offerta e di intercettare un pubblico più ampio, di fatto la maggiore disponibilità di canali ha provocato una frammentazione dell’audience con conseguenze negative a livello di raccolta pubblicitaria. A questo si aggiungono gli ingenti costi tecnologici e di programmazione, se si pensa che il solo switch off ha comportato un investimento di 800 milioni da parte delle imprese televisive locali.
Il comparto dell’emittenza tv che in Puglia conta ben 46 televisioni locali e 500 dipendenti (un decimo dei dipendenti del comparto in Italia) è costretto a confrontarsi oggi con lo sviluppo e la presenza di forme alternative rispetto a quelle tradizionali quali le web tv.
La fruizione di web sul video risponde a necessità di soddisfare una nuova tipologia di spettatore, più esigente e meno disposto ad accontentarsi del tradizionale ascolto passivo della tv. Uno spettatore sempre più attento e attivo nella scelta di cose da vedere, dove vederlo e in quale momento.
Le statistiche dicono che un italiano su quattro si informa tramite internet, usa la rete per leggere o scaricare giornali, news e riviste. Questo dato che ad una prima analisi può sembrare elevato, viene molto ridimensionato ed esalta l’arretratezza del nostro paese, se confrontato con altri paesi europei: Francia e Germania hanno un penetrazione di internet superiore al 70% e l’Olanda raggiunge il 94%. La Puglia molto attiva in questo comparto, nel 2011 è risultata la terza regione italiana – dopo Lazio e Lombardia – per numero di web tv.

In questo quadro si aggiunge la crisi economica della carta stampata con un milione di copie al giorno vendute in meno e con un settore che per il quinto anno consecutivo registra dati negativi. Ciò si traduce in un calo degli introiti pubblicitari. Nei primi 4 mesi del 2013 le inserzioni hanno portato agli editori 2,1 miliardi di euro, il 18,7% in meno rispetto allo stesso periodo del 2012 (dati Nielsen). Sono andati persi quasi 500 milioni di euro e il calo riguarda sia i quotidiani, sia i periodici.
Dall’insieme di questi fattori la conclusione che si può trarre è: l’informazione è in affanno, ci sono sempre meno soldi, sono sempre più frequenti i ritardi nel pagamento dei contributi pubblici,  la pubblicità – che, solo per i periodici, costituisce il 20% delle entrate- diventa quindi elemento irrinunciabile in tutto il settore dell’informazione.
Peccato che non ci sia stata un’azione di governo tesa ad aiutare la ripresa del mercato  pubblicitario, per esempio con contributi alle imprese che investono in pubblicità, e che non si siano favorite reti integrate tra vari soggetti,  sarebbero servite modifiche normative. Il problema vero è il continuo cambiamento delle regole, che genera una situazione d’incertezza permanente, impedendo ai soggetti che operano nel settore di condividere scelte a medio-lungo termine.

I sindacati denunciano il grave stato in cui versa il settore e sottolineano quelle che sono le ragioni della crisi:
– tagli e ritardi dei contributi pubblici senza che nel contempo a livello governativo fossero realizzate le necessarie riforme strutturali (vedi l’auspicata riforma della legge Gasparri)
– processo di innovazione tecnologica insufficiente se è vero che i maggiori introiti derivano ancora dal cartaceo
– l’innalzamento dell’iva sui collaterali di natura editoriale non ha rappresentato certo un aiuto per le aziende.
– le ipotesi di riforma del sistema previdenziale avviate dal ministro Fornero sarebbero state letali; ancora oggi non è dato sapere come si modificherà e se si modificherà il sistema previdenziale lasciando così aziende e lavoratori in una preoccupante situazione di stallo mentre la crisi non si ferma.
La parola chiave diventa allora fare rete. Fare rete tra soggetti del territorio operanti nello stesso segmento e allo stesso livello della filiera e tra questi e analoghi soggetti di altre regioni, superando la storica ‘litigiosità’ del settore; Fare rete cercando di sanare la frattura tra l’emittenza locale e l’industria creativa del territorio del quale avrebbe potuto costituire fattore di forza e sviluppo; fare rete con la rete, sperimentare a livello locale nuovi prodotti e nuovi servizi e soprattutto un nuovo modo di valorizzare economicamente l’offerta.

Nell’epoca in cui ci fidiamo delle notizie suggerite da un amico su facebook e twitter, è importante che la testata editoriale di fiducia, nazionale o locale che sia, rappresenti una guida preziosa e ci sappia condurre per mano attraverso un bombardamento di informazioni sempre più caotico e assordante. Anche per garantirci alcuni principi fondamentali della sfera pubblica, cioè il diritto ad una informazione trasparente e pluralista.
Come sosteneva Alexis de Toc
queville
, agli inizi dell’800, ‘la democrazia è il potere di un popolo informato’ (da La democrazia in America, 1835/40).

Aggiungi ai preferiti : Permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *