Cramarossa invita Decaro e la sfortuna si accanisce

Appena finisce di parlare di “aiuto alle cooperative” si scopre che il consigliere che nel prossimo consiglio comunale tornerà con lui ad occupare i banchi dell’opposizione, è socio di quella “Cooperativa Edilizia fra Lavoratori COEDIL” tanto favorita dalla sorte. Come scriveva alla procura della Repubblica il dirigente del II° SETTORE URBANISTICA ED EDILIZIA PRIVATA del comune nel 2012, la cooperativa COEDIL, è diventata 1° in graduatoria (invece di 5° a pari-merito con altre due cooperative, sul totale di 9) grazie alla favorevole opportunità offerta dalla revisione, nel 2008, del regolamento sulle assegnazioni delle aree edificabili alle cooperative edilizie. Revisione ritenuta “opportuna” dall’allora dirigente dell’urbanistica comunale (oggi imputato, nel noto processo, insieme al sindaco e all’assessore all’urbanistica dell’epoca). Quel regolamento, che sostituiva il precedente del 2005, assegnava alla COEDIL, costituita in larga maggioranza da soci dell’allora UDC modugnese, il 1° posto in graduatoria e nello stesso tempo relegava al 5° posto la cooperativa edile, denominata E. Berlinguer, di chiara e robusta costituzione di sinistra!

Ricordato questo, uno si chiede “e che ci azzecca la sfortuna con l’invito di Cramarossa a Decaro?”

Ci azzecca, ci azzecca, perché consultando una visura storica della camera di commercio di Bari risulta:

  • che l’attuale sindaco di Bari, Antonio DECARO, era socio della stessa SOCIETÀ COOPERATIVA FRA LAVORATORI COEDIL – II.CC. PRIMA;
  • che l’allora non ancora sindaco di Bari, Antonio DECARO, in data 01/06/2001 viene nominato ALLA CARICA DI SINDACO EFFETTIVO della suddetta cooperativa;
  • che Antonio DECARO resta in tale carica fino al 19/09/2006, due anni dopo la sua nomina ad assessore alla mobilità e al traffico da parte dell’allora sindaco di Bari, Michele Emiliano.

Io non sono superstizioso, ma fino a quando potrò resistere dal parafrasare Napoleone Bonaparte dicendo:“Preferisco un candidato sindaco bravo ad uno sfortunato”?

Il caso Molfetta, politica “territoriale” da imitare

Cosa lascia ai suoi successori l’ex magistrato e prossimo ex sindaco (per abbandono) Nicola Magrone? Non solo i procrastinati interventi di abbattimento di abusive costruzioni rurali o di costosi allestimenti di futuri megaparchi; ci lascia tanto altro. L’elenco delle cose da fare, perché non fatte, o da rifare perché fatte male, è lungo. Ognuno dei pretendenti a succedergli ne ha sicuramente già stilato uno, preferendo mettere al primo posto dell’elenco uno o l’altro dei numerosi provvedimenti tralasciati o sbagliati. Tutti però dovranno occuparsi, speriamo prima e meglio, dell’economia modugnese. Il declino dell’economia locale è reso evidente, a chi vuol guardare, dal degrado della zona ASI: chilometri di capannoni industriali abbandonati. Eppure quella che oggi è una area in decadenza era una delle realtà produttive più grandi del meridione. Vi lavoravano migliaia di operai che hanno trovato casa a Modugno, incrementando, nel bene e nel male, quella edilizia che oggi, proprio a causa della riduzione delle maestranze impiegate in quell’area, non rappresenta più l’unico settore economico di rilievo per Modugno.

Nell’era magroniana, proprio il settore delle attività produttive è stato quello più deludente di tutti. Regolarizzare la fiera del crocifisso o il trasferimento del mercato settimanale (esclusivo dominio di ambulanti “forestieri” che ogni anno drenano risorse milionarie) imporre la chiusura al traffico di c.so Umberto e mostrare indifferenza verso il degrado strutturale del mercato ortofrutticolo, non sono iniziative che possono servire a dare un impulso positivo all’economia locale. Come non serve il lamentarsi, in privato, mantenendo l’anonimato, di non avere abbastanza autonomia per fare qualcosa di diverso. La pusillanimità amministrativa non aiuta lo sviluppo economico e nemmeno la cultura, la salubrità del territorio e neanche le finanze, la sicurezza dei cittadini o il lavoro dei disoccupati.

Occuparsi, positivamente, dello sviluppo economico del territorio, richiede coraggio e fermezza, e non è facile per chi non ha l’una e neanche l’altra. Sono numerose le amministrazioni comunali che ci provano e che come Modugno, esempio paradigmatico di inefficienza nelle iniziative di sviluppo economico, non ci riescono per mancanza di idonee direttive politiche. Per fortuna però ci sono anche amministrazioni che lo sanno fare. Come Molfetta; in pochi anni diventata una delle città a più alto reddito della Puglia. Nella città delle “belle femmine”, la politica cittadina ha saputo unirsi in un progetto che metteva al centro del programma politico lo sviluppo della economia. Non si sono seguiti più i dettami delle segreterie regionali dei partiti; nessuno si fa imporre più “con chi stare”. Il sindaco, eletto da una larghissima maggioranza di liste civiche, è il sindaco di tutti e lo dimostra rispettando il volere dei rappresentati eletti dai molfettesi. Anche a costo di “scontentare” gli esponenti politici del suo partito di provenienza e appartenenza.

Sarà in grado, il suo successore – “ne rimarrà solo uno” – di imitare il sindaco, Tommaso Minervini, di Molfetta e di decidere per il bene di tutti i modugnesi? Il prossimo sindaco saprà mantenere, insieme a tutti i rappresentanti eletti dai modugnesi, la sua piena autonomia rispetto alle segreterie dei partiti?

Avremmo preferito che fosse una “qualità” comune a tutti i candidati; che tutti fossero “indipendenti”, non solo “ribelli”. Allo stato attuale, però, solo uno dei candidati sembra possa riuscirci, Nicola Bonasia.

(S)parlano solo quando si vota?

Si è tenuto il 31/08/2020 un consiglio comunale. Il secondo punto in discussione riguardava un debito, non inserito in bilancio, relativo alla parcella di un avvocato che ha vinto un ricorso al Tar in favore del comune. Il legale chiedeva un onorario maggiorato, rispetto a quello preventivato, perché l’ufficio tecnico comunale non gli ha fornito la documentazione necessaria per “difendere” gli interessi del comune, costringendolo, così, a ricercare in altri modi tale documentazione.
Quale era il ricorso al Tar che il legale ha vinto per il comune?
Quello intentato contro il comune di Modugno ed “altri”, dalla proprietaria del vecchio rudere situato di fronte all’ingresso del parco San Pio.
Della sentenza n° 01322/2018 del 18/10/2018 del Tar Puglia, favorevole al comune di Modugno, se ne è fatto cenno in vari articoli pubblicati sul sito https://www.amodugno.it/ .
Data la complessità di lettura della sentenza, causata dai vari richiami a leggi e norme edilizie, ho interpellato quegli “altri” che, insieme all’amministrazione comunale, hanno visto riconosciute dal Tar Puglia le loro ragioni.
Quello che segue chiarisce molti dubbi ed aiuta a comprendere anche le ultime vicende che riguardano il supermercato in costruzione su Viale della Repubblica.
Innanzitutto chi sono gli “altri”?
Sono le società modugnesi “Habitat”, del geometra Pasquale (Lello) Lombardi, e “Spazio +” della signora Raffaella Faletto.

Sig. Lombardi vuole spiegare, in parole semplici, quali sono i motivi del ricorso presentato al Tar Puglia dalla signora Petruzzelli?
La signora Petruzzelli, pur essendo stata regolarmente risarcita con oltre 2 miliardi di lire per l’esproprio delle sue proprietà (da quanto si evince dalla documentazione depositata a cura del Comune di Modugno), presenta, nell’anno 2011, un ricorso al Tar Puglia sulla base della perizia redatta dal suo ingegnere di fiducia. Nel ricorso la signora Petruzzelli, contesta il presunto declassamento – da B1 a B5, delle aree che risultano essere ancora di sua proprietà – causato da una delibera di consiglio comunale, la n° 6 del 2011.
Aree che risultano essere ancora di sua proprietà, a causa della mancata conclusione della pratica di esproprio da parte del comune di Modugno. Conclusione dell’iter espropriativo che avrebbe consentito l’abbattimento del vecchio rudere, oltre all’apertura della strada di PRG che consentirebbe agli alunni della scuola media Dante di poter defluire con maggiore sicurezza.
Cosa dice il tar invece?
Il Tar Puglia, con la sentenza n.°1322/2018, rigetta il ricorso della signora Petruzzelli, confermando l’assoluta legittimità della suddetta delibera n° 6, in quanto questa approva la mera riperimetrazione delle tre maglie C, M ed N e non determina alcuna variazione di destinazione urbanistica; come si evince chiaramente dalla seguente dicitura, che cito testualmente, tratta dalla sentenza:
“Tenuto conto pertanto che – come visto – non vi è stato alcun mutamento di destinazione urbanistica (né, conseguentemente, alcuna ritipizzazione) operato dal Consiglio comunale con la gravata delibera n. 6/2011 in relazione alle particelle di proprietà della Petruzzelli, (…) essendosi in presenza – a ben vedere – di una mera “riperimetrazione”.
A questo punto mi sovviene il ricordo di un consiglio comunale di circa tre anni fa, durante il quale il consigliere Cramarossa chiedeva, in merito all’approvazione della variante della lottizzazione della maglia M, se la questione fosse oggetto di un ricorso al Tar.
Quello che lei ricorda non è del tutto giusto. In quel consiglio comunale del 28 luglio 2017 si discuteva sull’approvazione di una variante alla lottizzazione nella maglia N non maglia M.
Ora sono ancora più confuso, si spieghi meglio.
Nel 2017 si doveva approvare la variante proposta dalla società “Habitat” nella maglia N e il consigliere Cramarossa dimostrò – vista la sua capacità di fornire alla dirigente la documentazione che la stessa dichiarava di non aver rinvenuto nel fascicolo edilizio della lottizzazione – una “sospetta” superiore preparazione tecnica sull’argomento, frutto, forse, di un corso accelerato con i tecnici del suo gruppo di riferimento.
Ma allora, il deficit di documentazione dell’ufficio tecnico si ripete spesso?
Eh già, comunque restando sull’argomento, quel consiglio non si sarebbe mai dovuto tenere, perché la competenza sulle varianti di piano di lottizzazione è della giunta. Infatti nel maggio del 2019 la variante è stata adottata dalla giunta Magrone.
Allora il consigliere Cramarossa, con la sua capacità di approfondimento degli argomenti potrebbe essere un valido sindaco?
Certo, ma forse le “verità” a lui riferite per sentito dire, unite alla scarsa conoscenza dei fatti che hanno comportato le indagini e i successivi arresti di tante persone, compreso gli ex sindaci Gatti e Rana, potrebbero avergli fatto venir meno la necessaria obiettività di giudizio, requisito imprescindibile per essere un buon amministratore pubblico.
Su quali basi lei afferma questo?
Perché, oltre ad essere in possesso di una pur sostanziosa parte della documentazione che l’ufficio tecnico dichiara di non avere – anche se questo non è una novità per i fascicoli edilizi che ci riguardano – dimostra di avere una conoscenza parziale ed edulcorata di fatti e circostanze che solo la procura, il tribunale e gli imputati nel processo conoscono nella loro interezza.
Cioè?
Gli esempi sono molti, vedi il comizio in piazza sedile del 29 luglio scorso, durante il quale parlando della mancanza del piano dei servizi, che “è la madre di molti problemi che abbiamo scontato in questa città in molti ambienti non soltanto politici” fa l’esempio di una pompa di benzina che non può essere realizzata nelle vicinanze di una scuola elementare; guarda caso nel febbraio 2005 proprio la mia Società ha presentato un progetto di realizzazione di una stazione di servizio carburanti e annessa palazzina servizi, da realizzare su viale della Repubblica. La causa della mancata realizzazione di quel progetto, perfettamente legittimo, non è certamente di natura urbanistica, ma essendo un capo d’imputazione del processo in corso ritengo non opportuno parlarne in questa sede.
Ancora, continuando nella sua esposizione, il consigliere Cramarossa, fa riferimento a supermercati di media struttura in costruzione, adombrando dubbi su di un altro candidato sindaco, perché “un sindaco quando si trova con incartamenti di questo tipo deve avere le mani libere”.
Il consigliere Cramarossa instilla ulteriori dubbi, nell’opinione pubblica, con un post a commento di un articolo della Gazzetta del Mezzogiorno. Articolo che riguardava, guarda caso, proprio le due aree a servizi su Viale della Repubblica, oggetto delle Convenzioni urbanistiche sottoscritte dalle nostre Società. La Gazzetta del Mezzogiorno ha pubblicato in data 5 agosto 2020, su richiesta del nostro legale, la rettifica e la nostra replica.
In quel post il consigliere Cramarossa, scrive espressamente di conflitti di interesse nella vicenda. Nel premettere, anche in questo caso, che si tratta di realizzazioni legittime e regolarmente autorizzate. Corre l’obbligo di sottolineare che nessuno dei candidati sindaco ha un qualche minimo interesse nella intera questione che, oggi, è semplicemente il tentativo, da parte del gruppo Carlone, di ostacolare la concorrenza.
In ultimo, relazionando di un incontro con i residenti di piazza E. De Nicola, scrive di due strutture adibite a parcheggio per auto, frutto di una “invenzione urbanistica” per ottemperare ad un accordo di programma di recupero urbano presentato da una nostra società.
Quanto realizzato in P.zza E. De Nicola, per usare le parole del Consigliere Cramarossa è “frutto di una buona integrazione tra edilizia popolare ed edilizia convenzionata” – preciso anche edilizia libera – non è stato messo a frutto dalle amministrazioni succedutesi nel tempo. Infatti, la costruzione al centro della piazza doveva essere adibita a capolinea delle linee FAL, con annesso bar ed ampia dotazione di parcheggi realizzati anche in sopraelevazione; inizialmente il Comune aveva previsto il loro interramento, successivamente escluso per questioni di sicurezza ed ordine pubblico.
Per svariati anni ho provveduto a manutenere le aree a verde, a mie spese, pur non essendo obbligato da alcuna convenzione comunale e sempre a mie spese ho inoltre realizzato e donato la sala parrocchiale a servizio dei residenti del quartiere e soprattutto dei ragazzi disagiati.
Dopo tutto questo, inizio a ricredermi sul fatto che il dott. Fabrizio Cramarossa sia un candidato sindaco preparato.
Caro sig. Oro, due o tre frasi “spot” come quelle del candidato sindaco Cramarossa, su questioni urbanistiche importanti come queste, non sono indice di preparazione; denotano invece una sommaria e interessata informazione tutta rivolta all’ottenimento del miglior risultato elettorale.
Ricapitolando, lei mi dice che tutta questa attenzione nei riguardi delle vostre iniziative è solo dovuta all’attuale campagna elettorale?
Certo, lo dimostra il fatto che solo e soltanto in occasione delle campagne elettorali si parla di queste vicende. Nessuno in tempi diversi dalle tornate elettorali si preoccupa di accertare, verificare, chiedere chiarimenti su queste questioni. Compreso il consigliere Cramarossa, che se ha realmente intenzione di essere il sindaco di tutti, “con le mani libere”, dovrebbe davvero cercare di documentarsi consultando i documenti e non ascoltando le varie “voci” circolanti.
A tale proposito mi rendo disponibile ad un incontro per informarlo compiutamente, “carte alla mano”, su quanto fin qui certificato dal Tar, dalla procura, nel processo e dagli stessi uffici comunali.
A questo punto, è giusto pensare che non finisce tutto qua e che ci sarà una “seconda parte”?
Certo, magari anche una terza.

Perché Modugno non vola più?

“chi vale vola, chi non vola non vale”

chi ha tarpato le ali a Modugno?

Negli ultimi anni siamo addirittura arrivati al punto che qualche modugnese sogna, facendo venire gli incubi a tutti gli altri, la Modugno, “terra-terra” del 1947, quella antecedente la costituzione meglio scritta al mondo, non “la più bella al mondo”, come continuano a blaterare – poiché tutte le Costituzioni, come i figli, sono belle per la “mamma sua” –  ma quella scritta meglio (in Italiano!) perché la sua stesura fu affidata, su suggerimento di Palmiro Togliatti, al latinista, accademico dei “lincei”, nonché massone, Concetto Marchesi; ma questa è un’altra storia.

Parliamo di Modugno. Fino agli inizi degli anni 60’, cioè prima della “nascita” della “Area di Sviluppo Industriale” la nostra città era come tutti gli altri paesi del meridione d’Italia. Aveva un reddito derivante essenzialmente dalle attività agricole e scarse prospettive di sviluppo. Nel 1957 venne emanata la legge di proroga dell’intervento straordinario nel meridione d’Italia della “Cassa del Mezzogiorno”, con la quale venivano istituiti i Consorzi Industriali. Enti di pianificazione dello sviluppo ai quali venivano assegnate delle aree in zone strategiche del meridione che per la presenza di servizi, viabilità, manodopera e infrastrutture, esprimevano potenzialità di industrializzazione. Nel 1960 fu costituito, con la camera di commercio e la Provincia, il Consorzio ASI di Modugno e Bari, che avrebbe diffuso in tutto il territorio i positivi effetti economici/finanziari derivanti dagli indennizzi degli espropri delle aree destinate alla edificazione degli opifici industriali.  La maggiore concessione dei crediti necessari agli “industriali” e i mutui bancari – concessi alle sempre più numerose maestranze presenti nell’area per l’acquisto di alloggi il più possibile vicino al posto di lavoro – stimolò quella pianificazione urbanistica oggi contestata dai fautori della “decrescita felice”. Contestatori dello sviluppo che, ironia della sorte, vivono comodamente impoltronati in auliche dimore condonate, acquisite spesso con capitali ricavati da perdonate attività. Attività “predatorie” rese possibili proprio da quella programmazione urbanistica che oggi additano come facilitatrice di “speculazioni edilizie”.

Nei primi anni ’60 furono iniziati i lavori dei primi insediamenti industriali: le Fucine meridionali Breda, la manifattura dei tabacchi, lo stabilimento della Coca Cola, “la” Pignone Sud; ai quali si affiancarono subito dopo, la Philips, la Riv-SKF, la Fiat, la Alco Palmera – sul prolungamento dell’attuale via Roma (in attesa ancora di un accordo con Autostrade per realizzare lo sbandierato progetto del rondò all’incrocio con viale della Repubblica) – l’Osram, la Bosh, la Firestone senza sminuire l’apporto già consistente della Officine Calabrese che assicurava già da anni l’impiego e il reddito di numerosissimi modugnesi strappati al lavoro agricolo.

Lavoro e redditi che come nel filmato hanno portato Modugno, dal 1947 al 2018, ad essere, nel bene più che nell’inevitabile male, quella che è oggi.

Il filmato è stato elaborato utilizzando foto del Istituto Geografico Militare, di Google Earth, di dati Istat, del Ministero Economia e Finanze e della camera di commercio di Bari. I dati, ricavati su base nazionale e/o regionale, sono stati “ragionevolmente” adattati su base comunale.

P.S. Tutti gli errori rilevati e civilmente segnalati saranno tenuti in debito conto per future pubblicazioni. Grazie

I tagliani? Tutti “chiacchiere e debito”

Parte 1°

 

Sono dei Sumeri (Iraq/Iran) le prime testimonianze storiche di “contabilità”. Per ogni pecora che usciva dall’ovile accantonavano in un mucchietto una piccola pietra, al ritorno del gregge toglievano una pietra per ogni pecora e il confronto era fatto. Per diversificare i vari mucchi di pietruzze, a seconda del tipo di bestiame che entrava e usciva dai recinti, iniziarono ad usare la possibilità dell’argilla di essere plasmata in forme che ricordavano gli animali stessi, poi iniziarono a formare, con l’argilla, delle “sacche” in cui conservare nel tempo tale contabilità. Queste sacche, piene di sassolini, chiamate imna“pietra d’argilla”, perché si indurivano – erano anche facilmente conservabili e trasportabili. I popoli che in seguito occuparono quei territori, assiri e babilonesi, spostandosi per i loro commerci sempre più verso il mediterraneo, diedero a quelle sacche il nome di abnu “pietra” – termine che i marinai latini trasposero in calculus, “sassolini”, da cui deriva il termine “calcolo”.

Sempre i sumeri, 4.000 anni fa, dalle rive del Tigri e dell’Eufrate ci hanno trasmesso le prime testimonianze di “contabilità” . Trascritti su migliaia di “tavolette” d’argilla, oggi è possibile conoscere quanti agnelli, piccioni o frumento era necessario offrire per tenersi buono il Re ed essere in pace con gli dèi. Non tutti, però, potevano sacrificare quanto esigeva la prassi religiosa e i sacerdoti del tempio, custodi del tesoro reale, iniziarono ad accettare figli e figlie (vergini) del debitore come pegno di una promessa di pagamento, tutti i debiti venivano trascritti su tavolette di creta “ufficializzate”  dal sigillo del tempio. Per gli insolventi erano previste pene durissime, dalla vendita come schiavi dei figli dati in pegno alla pena di morte. Furono sempre i sumeri, con i loro sacerdoti, che posero le basi della pratica del finanziamento commerciale basato sul “debito”. Utilizzando il “surplus”, da loro gestito, delle offerte al Re e agli dèi, oltre alle provviste di viveri necessari per il lungo viaggio, fornivano ai carovanieri che si avventuravano verso il mediterraneo, anche i pegni e gli “schiavi” non riscattati dai debitori come merce da vendere sui mercati. Inutile dire che anche i carovanieri lasciavano qualcuno dei loro figli in pegno per il pagamento del “prezzo” delle merci affidate in “conto vendita” più una percentuale sul guadagno. Il sigillo reale apposto sulle tavolette, conservate nel tesoro del tempio, non bastava, però, ad assicurare che i debitori “onorassero” quanto promesso. Serviva una minaccia più spaventosa delle pene corporali e i sacerdoti cosa potevano minacciare di più terribile se non “la dannazione eterna” per gli insolventi?
Bisognava però giustificare il tutto come se fosse un obbligo prescritto dagli dèi, sicuri esecutori del supplizio eterno e custodi dell’anima nell’aldilà. E da chi potevano trarre ispirazione i sacerdoti sumeri se non dalla vicina India, la terra mistica per antonomasia?

“Quando nasce, ogni essere è nato come un debito dovuto agli dèi,
ai santi, ai padri e agli uomini.
Se uno fa un sacrificio, è a causa di un debito dovuto agli dèi fin dalla nascita.
Se uno recita un testo sacro, è a causa di un debito dovuto ai santi.
Se uno desidera una prole, è a causa di un debito dovuto al padre dalla nascita.
Se uno offre ospitalità, è a causa di un debito dovuto agli uomini.”

“Brāhmaṇa dei cento percorsi” XI sec. A.c.
(commenti ai Rituali Veda – XVI sec. A. c.)

Messaggio che sulle sponde del Mediterraneo, dove i mercati si evolvevano e il peso dei debiti insoluti si faceva sempre più grande, diventa un saggio avvertimento per quel popolo che più volte nella sua storia aveva riscattato a caro prezzo la sua schiavitù:

“Il ricco domina sul povero e chi riceve prestiti è schiavo del suo creditore.”

Bibbia – Proverbi – 22,7 – VIII sec. a.c.

Antico e nuovo testamento si fondono in quella parte del Discorso della Montagna che tutti noi recitiamo:

“Dacci oggi il nostro pane quotidiano, e rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”
“Se voi infatti perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi;
ma se voi non perdonerete agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe”.

Matteo 11,12 – 14,15 – I sec. d.c.

È la ricerca della benevolenza dei propri dèi che ispira da oltre 40 secoli la convinzione che pagare i propri debiti sia un obbligo propedeutico alla salvezza eterna. Per non bruciare all’inferno per l’eternità bisogna saldare il debito verso gli dèi e il Re: salvo sperare in una ricca donazione postuma degli eredi che possa salvare l’anima del defunto debitore insolvente.
Sono in molti, però, nei secoli successivi, che più preoccupati della loro vita terrena che delle minacce dei custodi del tempio, approfittano della perduta onorabilità di sacerdoti e sovrani per sfruttare, a loro vantaggio, il sempre più diffuso senso dell’onore. Sostituiscono monasteri e palazzi reali con le banche come destinatarie dell’obbligo salvifico della remissione del debito

“Datemi il controllo della moneta di una nazione e non mi importa di chi farà le sue leggi.”

Mayer Amschel Rothschild (1744 – 1812)

Capostipite della famiglia di banchieri che influenzano ancora oggi la finanza mondiale. Uno dei suoi nipoti era fra i principali finanziatori del Regno di Sardegna prima e del Regno d’Italia dopo. Il 10 marzo 1863 veniva approvato, su richiesta dell’allora Ministro delle Finanze Quintino Sella, un oneroso prestito di 700 milioni netti, collocati a 71 lire, per un totale nominale (comprese le provvigioni) di poco più di 1 miliardo di lire (all’epoca il bilancio statale non superava gli 8 miliardi). Il prestito fu concesso dal banchiere Rothschild di Parigi, per il collocamento sul mercato francese. Esso venne emesso al saggio effettivo di 7,04 lire, cioè a un tasso d’interesse molto elevato per quell’epoca.
A tale riguardo il senatore Siotto-Pintor nel dibattito parlamentare sulla “gestione” di tale debito, alla presenza del neo Presidente del Consiglio Marco Minghetti; concludeva:

“Il malcontento è grave, un senso di malessere si diffonde in tutte le classi della società. Le sorgenti della ricchezza vanno a disseccarsi. Noi facciamo il lavoro di Tantalo o di Penelope. Il signor Rothschild, re del milione, è, finanziariamente parlando, re dell’Italia”

Atti Parlamentari, Discussioni del Senato,
sess. 1863-65, v. IV, p.3091.

Erano i primi anni del Regno d’Italia ma l’antica pratica dell’arricchirsi indebitando lo Stato utilizzava metodi sempre più efficienti. Un esempio di quanto fosse facile arricchire il privato a spese dello Stato è evidente in quello che si realizzò con la legge n.3048 del 27 aprile 1885. Per rendere omogenea la regolamentazione ferroviaria in tutto il territorio del Regno, si acquisirono gli altri pochi impianti fissi (stazioni e binari) che non erano ancora di proprietà dello Stato e si concesse l’esercizio di tutte le ferrovie a tre società private. Le Società di esercizio acquistarono tutto il materiale rotabile (locomotive, carrozze e vagoni) dallo Stato per 265 milioni di lire, somma su cui lo Stato si impegnò a pagare l’interesse del 5,79% annuo.
A tale riguardo l’economista, nonché parlamentare, J.Tivaroni, autore di “Storia del debito pubblico del Regno d’Italia” scriveva: «Che il venditore, oltre a consegnare la merce, debba pagare anche un interesse sul prezzo che ne riceve, crediamo che sia un contratto non frequente, il quale assume piuttosto il carattere di mutuo su pegno che di compravendita”.
Le tre Società concessionarie, alle quali era stato demandato il compito dello sviluppo della rete ferroviaria, a distanza di soli tre anni, presentarono l’aggiornamento del preventivo già concordato portandolo a 2431 milioni di lire (invece di 1260), di cui 821 già spesi.
Sempre l’economista Tivaroni commentava che in quegli anni: “Si sprecarono somme ingenti per costruire delle ferrovie, senza che avessero merci e viaggiatori da trasportare; per scavare porti senza navi da ospitare, per creare delle preture senza cause, degli impiegati senza lavoro, delle scuole senza scolari”.

Si aumentava allegramente il peso del debito pubblico tanto che “nessuno allora credeva che il nuovo Regno fosse tra i più poveri d’Europa, tanto è vero che i confronti fra le nostre spese pubbliche e quelle degli altri Stati venivano istituiti esclusivamente in base al manchevole criterio del numero degli abitanti e non della ricchezza relativa”.
Il deputato napoletano, Giuseppe Lazzaro, eletto nel vicino collegio di Conversano, scoraggiato dalla vista del rimpallo di responsabilità fra i vari ministri che si alternavano alla guida delle finanze e dallo scempio che veniva compiuto a danno delle casse dello Stato, così dichiarava in aula:
“A me pare che in quattro o cinque anni dacché stiamo qui riuniti, la questione finanziaria non ci abbia presentato null’altrochè una serie di illusioni, e per conseguenza una serie di disinganni; e si potrebbe ancora dire che i diversi Ministeri si sono demoliti gli uni e gli altri; i precedenti illudevano sé e il paese; ed i successori demolivano i primi mostrandosi illusi, aspettando gli altri che li demolissero a volta loro dimostrando il disinganno”

on. Giuseppe Lazzaro
Atti parlamentari, Discussioni della Camera

seduta del 13 aprile 1865 – pp.8694 ss.

Qualche anno dopo, lo stesso deputato campano, dopo aver sollecitato il governo ad utilizzare con più moderazione lo strumento delle imposte per le necessità della finanza pubblica, così sente rispondere il Ministro:
“L’On. Lazzaro dice: non siamo noi che abbiamo votato il macinato. In fatto d’imposte, per verità, non so che cosa abbiate votato. Credo che non ne abbiate votata alcuna. Avete solo votato le spese, e moltissime ne avete domandate. Ora io credo che realmente s’impongano aggravi ai contribuenti non quando si votano imposte, ma quando si votano spese. Siete quindi perfettamente solidali con noi nell’attuale situazione: e coloro che ebbero il coraggio di votare le imposte sono perfettamente giustificati a compiacersene, perché con ciò hanno salvato il paese”

Quintino Sella, Ministro delle Finanze
Atti parlamentari, Discussioni alla Camera,
Il dicembre 1872, pp. 3685-86

Questi gli’tagliani dei primi 40 anni.

continua…